- Bella ciao è indiscutibilmente la canzone simbolo del repertorio partigiano. Aldilà della sua effettiva diffusione nei 20 mesi della Resistenza, a cosa deve la sua popolarità? Ce ne parla un po’ da un punto di vista strettamente musicale?
Dal punto di vista musicale posso
dirvi solo che Bella Ciao è una bella
melodia in minore composta da una prima idea
simile ad un richiamo, scala ascendente con un intervallo di quarta
iniziale che non a caso si chiama “incitativo” perché ha sull’ascoltatore un
effetto propulsore, di incitamento e quindi
trascina, se ci fate caso ogni inno comincia con una bella quarta: Avanti Popolo, la Marsigliese, L’Internazionale....E
tanti altri inni anche di chiesa, E’
l’ora che pia, ecc.
La fine di questa prima cellula
musicale con un richiamo delle ultime tre note, in ascendneza e discendenza,
ripetuto per tre volte con l’ultima quarta nota iterata “ciao- ciao-ciao” crea già una suspense
musicale che forse è la fortuna del canto, la stessa frase di proposta viene
ripresa in accordo di sottodominante, se si parte in LA minore riattaccata in
RE minore ( le melodie in minore hanno sempre più fascino di quelle in
maggiore); dopo di ché segue la risposta simmetricamente ma rovesciata, in scala
discendente e il tutto viene chiuso con
una finale tipica di ogni conclusione, con la tonica finale preceduta da un
passaggio alla dominante – tonica, fine.
L’insieme è semplice, ma composto da
elementi di sicuro successo, questi che vi ho elencato.
La melodia può sembrare slava, per
l’ostinato minore combinato con un monosillabo incalzante e incitativo “ciao-ciao-ciao” e con un testo tutt’altro
che nostalgico , un testo di tipo battagliero. Questo insieme è molto evocativo di giovinezzae coraggiose
e generose, di amori disperati e separazioni dolorose, di
temi epici, insomma evocanti eroismo e
solidarietà, temi che catturano immediatamente il cuore e l’attenzione del
pubblico.
Insomma, nell’insieme, è semplice come tutte le cose che piacciono,
e pensata bene.
- Roberto Leydi ha proposto una classificazione della canzone partigiana secondo macrosettori di derivazione. Bella ciao ha un substrato popolare, con modificazione del testo e adattamento ad una diversa linea melodica. In particolare originerebbe da una sommatoria di canzoni popolari quali “Il fiore di Teresina”, “Fior di tomba”, “Stamattina mi sono alzata”, ecc. Viene spontaneo, in parallelo, ricordare il caso analogo di “Amara terra mia” di Domenico Modugno, rispetto al popolare “Addio addio amore”. Anche se lei non si definisce etnomusicologa bensì musicista, cosa può dirci in proposito?
Certamente il Bella ciao ha nel suo testo chiari elementi di testo classico
tratto da ballate epico liriche: la tomba sulla quale nasce un fiore, citato in
tante ballate, come Fiore di Teresina,
Nella Città di Genova e altre, è un uso frequente del canto popolare quello
di veicolare parti di testo con immagini precise che diventano come le frasi
idiomatiche, icone da trasferire da un
testo all’altro, questo sta solo a significare che Bella Ciao è un canto popolare e come tutti ha subito tante trasformazioni
durante le varie fasi della vita di un
popolo.
- Lei è nota per aver introdotto dei “falsi popolari” che ebbero grande successo. Come consiglierebbe di approcciarsi oggi alla rilettura del repertorio popolare?
I miei falsi popolari derivano dal
bisogno di esprimere concetti e sentimenti
che provo e riconosco come banali ed epici ad un tempo; cioè provati da
tanti in precisi momenti storici che ci portarono ad aver bisogno di esprimerli
anche per gli altri che non lo facevano: l’entusiasmo che abbiamo in tanti
provato durante il 1968 quando i giovani insorsero contro l’autoritarismo, la
bigotteria e il conformismo che la società aveva sempre fino allora adottato
come schema normale di gestione per la vita familiare, scolastica e sociale.
L’ipocrisia adottata come “buona educazione” nella vita di coppia come nei
rapporti con insegnanti e persone di
potere, tutto quello che fino ad allora
la società aveva accettato per quieto vivere generale e che aveva funzionato
fino ad allora, nel 1968 venne buttato per aria
e messo in discussione per sempre. Molte cose sono cambiate con il 1968
e sono state per sempre bandite, e non tutte
erano inutili come poi si è scoperto, ma ormai la vita sociale si era
abituata ad accettare i cambiamenti e si è andati avanti con qualche rimpianto, credo, forse
inespresso, per i comodi rimedi e
sotterfugi oramai caduti di moda e non più usabili. Tutto si è adeguato al nuovo
impianto della vita sociale post-sessantottina con qualche
“restaurazione” certo, ma in sostanza è cambiato.
Questa lunga digressione per dire che
il bisogno di raccontare e commentare questo in canti semplici, facilmente
riproponibili, come l’antico canto popolare riaggiornato che sempre di questi
temi ha parlato mi ha portato a scegliere la formula popolare nella composizione
delle mie prime canzoni. Per cui ecco il mio Addio addio amore che proviene sicuramente da un canto abruzzese
sentito chissà quando e chissà dove, magari sul Gran Sasso sciando, e il mio Morte di Gesù, ripreso decisamente da
quello ascoltato a casa Leydi e non più ritrovato per cui la necessità di riscriverlo un po’ abborracciato
ma in sostanza su quello schema preciso, ecc. Lo stesso per La terra nostra,e O padrone non lo fare che è il finale della mia ballata Vi parlo dell’America e qualche altro
mio canto falsopopolare. Questi temi poi li mischiavo con musica invece
decisamente inventata creando una confusione non facilmente districabile. Me ne
devo pentire? Non lo so e non ci penso, la musica parla, è fatta anche per
raccontare, e per me l’importante è che lo faccia.
Per me è stato l’inizio dello scrivere
musica, era il mio mestiere che amavo e già
avevo scritto per teatro e colonne sonore di film, ma mai avevo usato
voci e parole e questo salto me lo fece fare proprio l’ascolto cominciato con
la conoscenza di Roberto Leydi di tanto materiale popolare: cantori come la
Daffini e la Viarengo e le mondine e i cavatori di marmo e via dicendo che
avevano sconvolto e rivelato che c’era un altro modo di fare musica altrettanto
se non più affascinante ed espressivo di
quello che avevo usato fino ad allora da musicista uscita dal Conservatorio e
dal corso di Composizione da cui fuggii dopo i sette anni fra Armonia Principale e Contrappunto, bellissimi ma per me
conclusivi.
- Durante le sue interpretazioni qualcuno parla di “stonature”. Lei si è dedicata molto alla didattica della musica popolare. Si tratta di un uso non temperato della voce, una sorta di marchio dell’esecutore-fruitore? Ci spiega un po’ questa complessità?
Non sapevo che si parlasse
di mie stonature. Certo è molto possibile che il mio amore un po’ da neofita
per il canto popolare, quindi non temperato, mi abbia portato ad esagerare nel
buttare lì la nota in un modo che tra approcci e melismi le fa perdere la sua
cristallina intonazione come deciso dal temperato con il LA a 442
Hz. Il mio la è ancora a 415 e su questo non posso fare niente perché la nota,
all’ascolto, io la sento sempre a 415 e mi sembra che mi dica il suo nome, per
esempio, invece di sentire “Questa mattina mi sono alzata”, io sento MI LA SI
DO LA MI LA SI DO LA, e non c’è niente da fare ( le parole le capisco dopo); ora
lo sento tutto un semitono sopra. Ma questo non c’entra con lo stonare, c’entra
però nell’accettare il fatto che in musica tutto è relativo, e se uno vuole
sentire le note sempre pure e semplici, “azzeccate” sul loro grado senza
esitazioni, secondo me si perde il grande gusto che danno i quarti di tono ricomposti poi sull’accordo
finale, i ritardi esagerati fino allo sfinimento con calature e alzature che
portano il semitono di differenza ed urto fino quasi al congiungimento sull’unisono,
come un corteggiamento tra spasimanti, che poi invece si riallontana e lascia
lo spazio di suono voluto tornando al suo posto sulla scala diatonica, tutto
questo aggiunge spasimo e patos alla musica cantata e non resisto alla
tentazione di farlo, quindi continuo scientemente a “stonare”, è una gioia, un
vero piacere .
·
Ha un ricordo particolare di qualche
sua esecuzione di “Bella Ciao”? Vuole raccontarcelo?
Sì, quando cantavo con De
Gregori preparando il nostro disco il Fischio
del vapore e in un momento di riposo durante l’incisione del disco, cantavo
a Guido Guglielminetti, il capo band di
Francesco De Gregori delle canzoni popolari per fargli sentire quanto erano
belle, mi capitò di cantargli il Bella
Ciao come lo cantava Giovanna Daffini, la prima che l’ha svelata a tutti
questa bella canzone, e Guido intanto faceva registrare ma non lo sapevo,
quando me l’ha fatta ascoltare mi ha
colpito perché gliel’avevo cantata come mai l’avevo cantata prima, insomma avevo imitato proprio il modo di cantarla
di Giovanna Daffini per fargliela capire bene, senza enfasi, piano piano, lenta
e sottovoce, è mi è piaciuto, fino ad allora avevo sempre cantato il Bella Ciao partigiana che è diverso nel
testo e nel sentire, e pensare che questo è successo nel 2002, mentre la Bella Ciao la cantavo dal 1965, questo a dimostrare quante
cose nasconda il canto popolare e quanto si impari e ci si sveli a riproporlo,
maneggiarlo, studiarlo, riascoltarlo, trascriverlo e ripensarci ancora, fino
alla vecchiaia.
E’
stata proprio una bella cosa per me.
Carlo
Rovello
02/02/2013
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